Perché arare il terreno distrugge la fertilità del tuo orto: ecco gli svantaggi nascosti

L’aratura del terreno è una pratica agricola antica, da sempre utilizzata per preparare il suolo alla semina. Tuttavia, sebbene sia ancora diffusa, negli ultimi anni sono sempre più evidenti gli effetti negativi che questa tecnica può avere sulla fertilità del suolo. Abitudini considerate “tradizionali” spesso celano dei rischi invisibili, che nel tempo minano la salute dell’orto, costringendo chi coltiva a ricorrere a sempre maggiori input esterni per ottenere raccolti soddisfacenti. Comprendere in che modo l’aratura vada a intaccare i meccanismi naturali di fertilità è essenziale per chi vuole preservare un orto realmente sano e produttivo.

La distruzione della vita nel suolo

Uno degli svantaggi più pesanti dell’aratura riguarda la distruzione della biodiversità microbica e della struttura organica naturale del suolo. Lo strato superficiale, ricco di microrganismi benefici come batteri, funghi e lombrichi, viene sconvolto dalla lavorazione intensa: le reti micorriziche, che facilitano la simbiosi tra piante e funghi e aumentano l’assimilazione dei nutrienti, vengono letteralmente spezzate micorriza.

Oltre a ciò, quando il terreno viene profondamente rivoltato, si provoca una deleteria rimescolanza degli strati: i microrganismi aerobici, abituati a vivere nei primi centimetri di suolo dove trovano ossigeno, vengono spinti in profondità, mentre specie anaerobiche, normalmente al sicuro più in basso, si ritrovano esposte all’aria. Questo stravolgimento delle “società sotterranee” riduce drasticamente la capacità del suolo di rigenerarsi e di sostenere i cicli biologici della fertilità.

Scomparsa della struttura fisica e perdita di umidità

La distribuzione naturale di aggregati di humus, argilla e composti organici garantisce al suolo una struttura stabile, porosa e capace di trattenere acqua e nutrienti. L’aratura spezza questi aggregati, rendendo il terreno più polveroso e compatto una volta che la superficie viene esposta agli agenti atmosferici.

La conseguenza diretta è una riduzione della capacità di trattenere umidità: il suolo lavorato disperde più rapidamente l’acqua, aumentando il rischio di irrigazioni frequenti e asciuttezza degli strati superficiali. Questo porta non solo a una maggiore dipendenza dall’irrigazione artificiale, ma rende il sistema meno resiliente agli sbalzi climatici.

Se la terra perde questa porosità naturale, le radici delle piante faticano a espandersi e a penetrare in profondità, compromettendo la stabilità e la produttività delle colture.

Erosione e impoverimento degli strati fertili

L’aratura elimina la copertura vegetale che funge da barriera contro il vento e la pioggia, lasciando gli strati più ricchi di humus esposti all’azione degli agenti erosivi. Suoli arati – specialmente su pendii o in zone ventose – sono molto più soggetti a erosione, fenomeno che nel giro di poche stagioni può far sparire lo strato fertile creato in decenni di equilibrio naturale.

  • Perdita dello strato superficiale: Lo strato arato viene facilmente portato via dalla pioggia o dal vento, impoverendo la terra di minerali e sostanza organica.
  • Accumulo di sedimenti: Sedimenti sottratti ai campi finiscono nei corsi d’acqua, compromettendo la qualità delle fonti idriche e favorendo fenomeni di inquinamento e intasamento.
  • Maggiore bisogno di concimazioni: La perdita di fertilità costringe a ricorrere a fertilizzanti chimici per mantenere il livello produttivo, aggravando la dipendenza da input esterni e il rischio di salinizzazione del suolo.

Un ciclo vizioso: compattazione, infertilità e dipendenza dai prodotti chimici

L’uso ripetuto di attrezzi pesanti e il continuo rivoltamento del terreno portano alla compattazione degli strati inferiori: la pressione esercitata rompe gli aggregati, schiaccia le porosità e forma una sorta di “crosta” che ostacola l’infiltrazione dell’acqua e la crescita delle radici.

Quando il suolo è compatto, l’ossigenazione diminuisce e la vita microbica si riduce ulteriormente, innescando un circolo vizioso di impoverimento. La diminuzione dell’attività dei decompositori biologici porta a una insufficiente trasformazione della materia organica in humus, fondamentale per tutte le colture.

In molti casi, l’aratura frequente trasforma il suolo in un ambiente inorganico, in cui ogni stagione richiede nuove dosi di fertilizzanti, diserbanti e fitofarmaci, allontanando l’orto dai principi di autosufficienza e agricoltura naturale.

Alternative sostenibili all’aratura

Oggi esistono tecniche alternative che permettono di coltivare senza distruggere la fertilità del suolo. Tra queste spiccano:

  • Coltivazioni senza lavorazione del suolo (no-till): Consistono nel lasciare intatto lo strato superficiale, seminando direttamente su un manto di residui vegetali, che protegge il suolo dall’erosione e ne aumenta la vitalità.
  • Vangatura selettiva: Prevede la lavorazione limitata e superficiale con l’ausilio di attrezzi come la forca invece della vanga, così da rompere le zolle senza rivoltare completamente lo strato fertile.
  • Crescita di sovesci: Utilizzo di piante che vengono seminate appositamente per essere incorporate nel terreno come fonte naturale di sostanza organica, aumentando la biodiversità e la protezione fisica del suolo.
  • Pacciamatura: Applicazione di materiali organici come paglia, erba secca o compost sopra il terreno per limitare la dispersione dell’umidità, proteggendo i microorganismi e riducendo le piante infestanti.

In conclusione, sebbene l’aratura sia nata come pratica apparentemente utile, i suoi svantaggi nascosti sono una minaccia concreta alla vitalità degli orti e dei terreni agricoli. Solo abbandonando la convinzione che il suolo vada costantemente lavorato e lasciando spazio a pratiche più sostenibili, si potrà invertire la tendenza al degrado e restituire all’orto la sua vera fertilità naturale.

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